di Giorgio De Zorzi
Nel loro piano di espansione verso l’oriente i Romani si resero conto che se volevano difendere i confini della Venezia e tenere lontane le genti celtiche che sconfinavano, dovevano fondare vicino alle Alpi una colonia.
Dopo che nel 186 a.C. si verificò la "transgressio in Venetiam" dei Galli, la decisione si rese inevitabile. Il senato nel 183 a.C. (anno 571 di Roma) diede incarico a Publio Cornelio Scipione Nasica, Caio Flaminio e Lucio Manlio Acidino di fondare una nuova città. Due anni dopo, l’ordine fu eseguito. La colonia fu stabilita ad Aquileia il cui nome probabilmente deriva da un toponimo locale pre-romano.
Aquileia fu fondata nel 181 a.C. e fu costruita in forma quadrilatera come usavano i romani con il Cardine massimo da nord a sud, l’attuale Via Giulia Augusta, e dal Decumano massimo da est ad ovest, l’attuale asse Via dei Patriarchi - Via Roma. Fu costruito poi il porto, vitale sbocco al mare sia commerciale che militare, che fu in auge sino al tempo delle crociate e dei pellegrinaggi in Terrasanta.
Gli abitanti non avevano i diritti romani, ma quelli latini. Ai 3000 fanti che giunsero nella nuova colonia furono distribuiti 50 iugeri a testa (circa 29 ettari), ai centurioni 100 iugeri e ai cavalieri 150 iugeri (circa 80 ettari) di terreno.
Aquileia come colonia aveva un territorio dai 400 ai 500 chilometri quadrati che può essere delimitato grosso modo da Monfalcone a San Giorgio di Nogaro e fino alle Alpi.
Una decina di anni dopo gli Aquileiesi, vista la situazione dei confini poco sicuri, chiesero a Roma che la colonia fosse rinforzata. Ciò fu fatto nel 169 a.C., quando arrivarono ad Aquileia 1500 famiglie di coloni. Questo nuovo afflusso portò la popolazione della colonia a circa 15.000 persone. Ancor’oggi molti nomi di paesi della pianura friulana risalgono questi antichi assegnatari latini.
La colonia così rinforzata fu in grado di contribuire all’assoggettamento definitivo dei popoli circostanti. Nel 90 a.C. Aquileia ebbe la piena cittadinanza romana e fu iscritta alla tribù Velina. Venne trasformata in municipio e più tardi ebbe il titolo onorifico di colonia romana, conservando però il regime municipale. Fu resa più sicura cingendola di forti mura.
L’età Imperiale ad Aquileia
Augusto dopo aver sconfitto Antonio ad Azio, divenuto imperatore, voleva portare i confini di Roma fino al Danubio; egli ebbe sempre molto interesse per Aquileia e per tali scopi voleva collegarla con una degna rete stradale. Il suo esempio fu poi seguito dagli altri imperatori. Oltre a queste importanti vie bisogna ricordare anche quella del mare.
Il Natisone (oggi Natissa) che scorre a NO della città, a quei tempi era navigabile anche per grossi carichi, al dire dello storico Strabone era lungo circa 12 km. sino alla foce. Una notevole portata d’acqua lambiva le mura della città. Quando Augusto estese i suoi confini dell’impero sino al Danubio, Aquileia, oltre l’importanza militare per cui era stata costruita, divenne un polo commerciale, e poi capitale della decima regione “Venethia et Histria”. Fu un centro di prim’ordine di tutta l’Italia settentrionale; gli antichi scrittori romani l’appellarono “famosissima, chiarissima città”, emporio principe dell’alto Adriatico.
La sua ricchezza la deve alle grandi via consolari di cui faceva capo. Ad Aquileia l’ambra veniva lavorata ed esportata. Il vino prodotto nelle campagne, molto rinomato, piaceva molto a Livia, moglie di Augusto, al quale attribuì a ciò la sua longevità. Attraverso queste vie esso andava ad allietare le legioni che si trovano in continua lotta ai limiti dell’impero, inoltre una gran parte veniva portata a Roma. Durante le campagne militari verso l’Europa orientale, gli imperatori romani posero qui il loro quartier generale, ed allora arrivarono mercanti e gente di ogni razza, portando ricchezze e tesori, ponendola commercialmente al secondo posto dopo Roma.
Nei secoli dell’impero, Aquileia fu chiamata solo due volte a risolvere i gravi problemi per cui era stata costruita: nel 167 d.C. contro i Quadi e i Marcomanni che Marco Aurelio e Lucio Vero cacciarono senza troppa difficoltà, e nel 238 quando l’usurpatore Massimino il Trace, muoveva verso Roma per diventare imperatore.
Giunto alla riva dell’Isonzo, trovò il fiume molto impetuoso, dato lo scioglimento delle nevi e difficile da passare. Con delle botti trovate nelle fattorie vicine, fece un ponte di legno e si portò ad Aquileia assediandola. Lungo la strada si tagliarono alberi e viti, si brucio ogni cosa rendendo il bel paesaggio un deserto.
La popolazione di Aquileia sotto gli auspici del dio Beleno, che dettero coraggio agli assediati, respinse i nemici gettando loro addosso zolfo acceso e materie infiammabili che li accecavano, li privavano delle armi e li bruciavano. Si narra che le donne si tagliarono i capelli per farne corde d’arco.
L’ostinata resistenza, la scarsezza di viveri, ma soprattutto la voce che Roma stava inviando rinforzi alienarono l’entusiasmo degli assalitori nonostante gli incitamenti di Massimino e di suo figlio. Una notte due soldati stanchi di questa situazione entrarono nella loro tenda e li uccisero, decapitarono e conficcate le teste su due aste, le mostrarono agli Aquileiesi, dichiarandosi disposti ad accordarsi con loro.
Nel 270 l’imperatore Marco Aurelio Claudio che combatteva i Goti nella Pannonia fu ucciso e Quintillio, che era rimasto a presidiare l’Italia, fu nominato imperatore ad Aquileia dove però fu ucciso pochi giorni dopo.
Il suo competitore Aureliano ebbe il sopravvento. Ancora scarse sono le notizie fino al 312 quando Costantino nella guerra contro Massenzio per la conquista dell’Italia ricevette da alcuni legati aquileiesi la sottomissione della colonia. Egli poi conquistò Roma con la vittoria sul ponte Milvio dove Massenzio morì.
Riguardo a quando sia arrivato il cristianesimo ad Aquileia e quando questa divenne sede vescovile mancano notizie precise. La tradizione vuole che San Marco sia stato inviato ad Aquileia da San Pietro, per evangelizzare queste terre.
Sarebbe rimasto per breve tempo, andando poi a Roma e il suo discepolo Ermacora sarebbe rimasto a governare la chiesa di Aquileia. Notizie certe si hanno con il vescovo Ilario di Pannonia (276-†285), che inizia la lunga serie di vescovi, arcivescovi e patriarchi aquileiesi.
Gli successero Crisostomo I (286-†295), Crisostomo II (295-†308), Teodoro (308 -†319). Ed è con questo vescovo che la chiesa di Aquileia fa la sua comparsa ufficiale nel concilio che si tenne ad Arles nel 314 per disposizione di Costantino, a cui parteciparono molti vescovi delle città vicine e lontane dell’impero e tra questi c’era appunto “Theodorus episcopus, Agathos diacono de civitate Aquileiensi”.
Con l’editto di Costantino del 313 che aboliva la persecuzione dei cristiani (già Diocleziano l’aveva promulgata nel 305, ma non era stata applicata in pieno) Aquileia, anche per la posizione geografica, poté sviluppare la sua politica e la sua missione religiosa.
Prima di ciò vi furono almeno 11 martiri che il calendario ricorda: Ilario e Taziano (16 marzo), Canzio, Canziano e Canzianilla (31 maggio), Proto (15 giugno), Ermagora e Fortunato (12 luglio), Felice e Fortunato (13 agosto), Crisogono (24 novembre). Sono da ricordare anche i grandi Santi vescovi: Valeriano (27 novembre), Cromazio (2 dicembre) e Paolino d’Aquileia (28 gennaio).
Teodoro, che si presume provenisse da una illustre e potente famiglia, ha lasciato la testimonianza di costruzioni monumentali. come quella del primo edificio destinato alle riunioni e alle liturgie dove sul pavimento fu scoperta la scritta: (Theod)ORE / FELIX / HIC CREVISTI / HIC FELIX «Felice Teodoro qui crescesti, qui fosti veramente felice» subito dopo seguito dalla costruzione del secondo edificio dove ci sono i famosi splendidi mosaici (v. Basilica di Aquileia).
Nel 401 Alarico, re dei Goti, riuscì a passare il Timavo vincendo il generale di Onorio Stilicone ed Aquileia fu costretta ad aprirgli le porte. Da qui si lanciò alla conquista dell’Italia ma, sconfitto a Pollenzo sul Tanaro il 6 aprile 402 e a Verona, si ritirò nell’Illiria.
Giunse una seconda volta ad Aquileia nel 408 ma vi sostò brevemente perché era diretto prima a Ravenna dove cercò inutilmente d’ottenere territori per la sua gente e poi a Roma dove penetrò per fortuna o tradimento il 24 agosto 410. Dopo Alarico innumerevoli sono stati gli eserciti e le orde barbariche che hanno attraversato le Alpi Giulie.
L’anno 452 fu uno degli anni più neri della storia di Aquileia e della Venezia. Attila, re degli Unni, per vendicarsi della sconfitta subita in Gallia sui Campi Catalunici l’anno precedente, radunato un potente esercito di Unni ed altre genti, lasciò la Pannonia ed assediò Aquileia. Si narra che dopo tre mesi di strenua resistenza Attila stesse abbandonando l’idea di prendere la città quando vide delle cicogne che con i loro piccoli volavano via da Aquileia. Attila dedusse che la città era allo stremo e a corto di vettovaglie, con un ultimo disperato assalto la conquistò, la bruciò e la distrusse. Concordia, Altino e Padova subirono la stessa sorte ed Attila non si arrestò che di fronte a Papa S. Leone Magno inviato con degli ambasciatori a trattare con l’invasore che convinse a ritornare in Pannonia e nel ritorno non passò per Aquileia.
Grande certamente fu la rovina della città che però sopravvisse. Iniziò anche un lento impaludamento dei terreni circostanti che rese via via più difficile la vita della città.
Attila nella cronaca ungarica di Wilhelm Dilich (sec. XVI)
In seguito allo Scisma dei Tre Capitoli del 557, Paolino I vescovo di Aquileia, assieme a quello di Milano e molti altri del nord Italia non riconosce più l’autorità di Papa Pelagio I e si stacca da Roma. Aquileia si proclamò chiesa autonoma autocefala.Nel 568 i Longobardi valicarono le Alpi Giulie comandati dal re Alboino che conquistarono l’Italia settentrionale. Divisero il territorio lasciando le coste ai Romano-Bizantini mentre l’interno fu trasformato in ducato del Friuli. A causa dei Longobardi, Paolino I trasferisce la sede a Grado, sotto il controllo di Bisanzio, mantenendo però la posizione dei Tre Capitoli. I vescovi suffraganei di Aquileia, riconoscendo la posizione autocefala di quella chiesa lo eleggono Patriarca. Nasce il Patriarcato di Aquileia.
Nel 579 papa Pelagio II elesse il patriarca Elia a metropolita della Venezia e dell’Istria, per avviare una ricomposizione dello scisma, ma con scarsi risultati, visto che Elia consacrò la basilica di Grado a Sant’Eufemia, protettrice del concilio di Calcedonia. Questa divenne la sede del patriarcato.
Nel 606, dopo la morte del patriarca Severo, il patriarcato si divise in due: ad Aquileia di posizione tricapitolina venne eletto Giovanni, con il sostegno longobardo del duca del Friuli Gisulfo II, mentre a Grado venne eletto il patriarca cattolico filobizantino Candidiano. Lentamente le altre chiese, a partire dai vertici di quella di Milano, spinte dalla pressione di una conquista longobarda, cominciarono un avvicinamento a Roma per la ricomposizione dello scisma e favorito anche dall’azione missionaria in Italia dell’irlandese San Colombano.
Nel 664 ci fu un’invasione di Avari, in origine chiamati dal re longobardo Grimoaldo per aiutarlo contro la ribellione del duca del Friuli Lupo. Questi saccheggiano e devastano il Friuli e si ritirano solo dopo la mobilitazione di Grimoaldo.
Aquileia intanto tenne ancora ferme le sue posizioni sui Tre Capitoli. Però, in seguito alla battaglia di Coronate (Cornate d’Adda) nel 689, il re longobardo Cuniperto, cattolico, ebbe la meglio sul duca Alachis ariano e vicino ai tricapitolini. Da qui cominciò una ricomposizione dello scisma che si compirà con il sinodo di Pavia del 698. Papa Sergio approvò nei mesi seguenti la ricomposizione. Furono confermati i titoli di Patriarca di Grado e di Patriarca e Metropolita di Aquileia.
Nel 787 moriva il Patriarca Sigualdo e Carlo Magno nominò suo successore San Paolino II (776-†11 gennaio 802). Carlo Magno si servi parecchie volte di Paolino incaricandolo quale mediatore a varie faccende del regno. Egli discusse parecchie controversie teologiche e il 4 agosto 792 ottenne da Carlo due diplomi a favore della chiesa di Aquileia: con il primo fu restituito al clero aquileiese il diritto di eleggere liberamente i patriarca, salvo l’approvazione del re per il nuovo eletto; con il secondo concesse varie esenzioni sulle decime tra cui quella dell’obbligo di fornire vettovaglie alle truppe. Il rifiorire di Aquileia fu promosso dal Patriarca Massenzio (801 † 833) che nella basilica di Aquileia ingrandì i bracci e aggiunse la cripta, ma specialmente da Poppo o Popone (1019-† 1042) che con energia si diede a migliorare la vita e gli edifici della città di Aquileia e a rivalorizzare il porto. Agì duramente contro il Patriarcato di Grado che era protetto da Venezia cercando di sminuirne l’importanza in modo che Aquileia, da troppo tempo trascurata, ritornasse la capitale di un tempo.
Nel 1077 Enrico IV conferì la solenne investitura della contea del Friuli al patriarca Sigeardo (o Singifredo) di Peilstein (1068-† 1077) così i patriarchi, che abitavano prima a Cividale e poi a Udine, acquistarono il potere temporale su quasi tutto il Friuli, lasciando Aquileia sempre più in disparte anche se nella città c’erano strutture importanti come gli ordinamenti comunali, il porto fluviale, il Capitolo di Aquileia, le basiliche ecc. e si tenevano le solenni investiture. I patriarchi avendo il potere temporale vivevano come dei principi varie residenze.
Alcuni erano impegnati anche con problemi che non riguardavano il Friuli. Fra i vari viaggi, incontri con re ed imperatori, i concili, elezioni dei papi, guerre private, ed altro si assentavano dal Friuli anche per anni. Quando vi ritornavano preferivano la città di Cividale sede ducale e quindi adatta per il disbrigo degli affari di stato e poi Udine città che sotto di loro si sviluppò velocemente e dove avevano nel castello una degna sede di rappresentanza.
Numerosi furono gli episodi e fatti storici successi. In quei anni di Patriarcato, si susseguirono a capo della chiesa aquileiese uomini per la maggior parte di grande ingegno politico e militare nonché naturalmente quello ecclesiastico.
Giungiamo cosi alla vigilia della conquista della repubblica di Venezia del Friuli e del Patriarcato. Venezia aveva preso già da tempo le armi contro il Friuli con guerriglie spietate e numerosi avvenimenti guerreschi. Il patriarca Lodovico II di Teck, cercava per mezzo dei sui ambasciatori che erano inascoltati invano la pace.
Nel luglio 1419 stava radunando un esercito sperando negli aiuti ungheresi. Intanto Cividale l’11 luglio si dava a Venezia col patto di conservare privilegi ed istituzioni come per il passato, in compenso doveva favorire le truppe Venete e i Savorgnano, che erano passati a Venezia ed aprire ostilità contro re Sigismondo. Questo tradimento fece molta impressione in Friuli.
Intanto Lodovico II andò in Ungheria e ritornò con seimila cavalieri. Udinesi e Ungheresi il 25 novembre posero campo a Botenicco assediando Cividale che era aiutata da truppe veneziane comandate Taddeo d’Este. Per quindici giorni con bombare e scale i soldati del patriarca tentarono l’assalto ma furono ributtati, poi il freddo e la neve li costrinsero a ritirarsi. Parte riparò a Udine e parte ritornò in Ungheria.
Sul principio del 1420 Venezia riprese la sua azione con truppe condotte dall’Arcelli che in pochi mesi conquistarono tutto il Friuli ed il 7 giugno entrarono a Udine. Capitolarono poi Gemona, San Daniele, Venzone, Tolmezzo e la Carnia e il Cadore e per ultima Pieve di Cadore, presa con la forza il 3 ottobre 1420. Il 7 settembre si proclamò al Senato veneziano “Quello che abbiamo fatto contro la Patria del Friuli lo abbiamo fatto soltanto per rassicurare il nostro stato” e il 13 settembre: «... non per odio di qualche chiesa né per ambizione di maggior stato ma solo per la difesa del nostro Stato abbiamo sottomesso la Patria del Friuli».
Così finisce il dominio politico dei patriarchi aquileiesi, che scompare dalla scena del mondo. “Dopo una durata di oltre quattro secoli, questo principato ecclesiastico il quale visto i bisogni del pese e del momento poteva apparire anacronistico. Eppure non senza che si desti in fondo all’animo nostro un senso di rincrescimento si assiste al tramonto inglorioso di una istituzione che bene o male, aveva costituito il Friuli a stato autonomo e gli aveva data un’aureola di sovranità e quasi di primato tre le altre regioni d’Italia” (A. Battistella).
Assoggettato il Friuli a Venezia, i patriarchi perdendo il potere temporale si sarebbero dovuti occupare di quello religioso in modo di rasserenare gli animi, unificare le popolazioni e il territorio. Questo non fu fatto perché i patriarchi furono scelti tra i nobili veneti e costretti a risiedere lontano da Aquileia.
Di tutto ciò che i Veneziani avevano conquistato, solo Aquileia fu resa nel 1445 al Patriarcato. Il Patriarcato di Grado, il cui patriarca risiedeva a Venezia sin dalla metà del sec. XII, fu soppresso, come pure la diocesi di Castello che dipendeva da Grado. Il titolo fu trasferito a Venezia nel 1451.
Gli ultimi trent’anni del 1400 il Friuli fu investito dalle terribili invasioni dei Turchi ed anche Aquileia ne subì le conseguenze senza troppo soffrire. Nel 1509 con la pace di Worms Aquileia e i suoi territori passarono sotto gli Asburgo facendo parte della la contea di Gorizia, rimanendo così esclusa dalle vicende del Friuli.
Il Patriarcato di Aquileia si estendeva sia nel Veneto che negli stati austriaci ed era difficile un governo religioso uniforme. Si decise nel 1574 di istituire l’arcidiaconato di Gorizia con le mire di trasformalo in vescovado e di trasferire da Aquileia la sede del Patriarcato.
La fine della diocesi di Aquileia
Maria Teresa diventata imperatrice d’Austria il 20 ottobre 1740 si era proposta di chiudere la faccenda di Aquileia in modo per lei soddisfacente ed incaricò padre Agostino da Lugano di trattare col Papa.
Benedetto XIV con breve del 29 agosto 1749 dispose che la parte del Patriarcato soggetto alla casa d’Austria fosse retta da un Vicario Apostolico, eletto dallo stesso pontefice con residenza a Gorizia nella casa offerta dal Corbelli. Nonostante le proteste di Venezia e del patriarca il nuovo vicario prese possesso della casa di Gorizia e si fece consacrare vescovo a Lubiana.
Il Papa incurante del fatto che Venezia per protesta avesse ritirato il suo ambasciatore e rispedito a Roma il nunzio apostolico continuò con la sua idea. Con bolla papale Iniuncta del 6 luglio 1751, egli decretò la fine del Patriarcato, che per parecchi secoli fu la più grande diocesi d’Europa e che veniva definita per dignità “la seconda Chiesa dopo Roma”. Istituì il 18 aprile 1752 l’Arcidiocesi di Gorizia e il 19 gennaio 1753 quella di Udine dividendo il territorio patriarcale.
A Gorizia spettavano le diocesi di Como, Trento, Trieste e Pedena; a Udine facevano capo le diocesi di Padova, Vicenza, Verona, Treviso, Ceneda, Belluno - Feltre, Concordia, Capodistria, Cittanova, Parenzo e Pola. Il nuovo arcivescovo di Gorizia Carlo Attems, che era vicario goriziano, era stato eletto già il 7 settembre 1751 dall’imperatrice, prese possesso della sede goriziana il 30 luglio 1752.
L’arcivescovado di Udine fu formalmente eretto il 19 gennaio 1753 ed il patriarca Daniele Delfino poteva portare questo titolo e quello di arcivescovo fino alla sua morte.
La riscoperta archeologica di Aquileia
Con la divisione della diocesi nel 1751, Aquileia fu dimenticata e scarsi e insufficienti furono i mezzi assegnati per tenere aperta la storica basilica e provvedere alla sua manutenzione.
Inoltre fu spogliata delle reliquie e del tesoro, diviso fra le due nuove arcidiocesi: l’archivio della basilica con gli antichi documenti era già stato trasportato quasi tutto a Udine, buona parte dei preziosi codici andarono invece a Gorizia.
Nonostante si eseguissero scavi archeologici con preziose scoperte rimase quasi nell’anonimato. Quando negli scavi tra il 1909-12 furono scoperti i preziosi mosaici teodoriani si tornò a parlare di Aquileia. Nel 1915 fu occupata dalle truppe italiane e nel 1918 ritornò definitivamente all’Italia.
Sciolta la provincia Gorizia fece parte della nuova grande provincia del Friuli formatasi nel 1923. Nonostante la ricostituzione della provincia di Gorizia nel 1927 rimase con quella di Udine benché la diocesi sia goriziana. Terminata la prima guerra mondiale Aquileia fu valorizzata ulteriormente.
Si continuarono i vari scavi trovando altro immenso materiale. Furono sistemati i monumenti e il porto, il Museo Archeologico ed altro. Il culto di Roma antica promosso dal regime fascista, incrementò gli scavi e gli studi. Recentemente sono stati restaurati gli splendidi mosaici della basilica. Aquileia oggi è il maggior centro archeologico dell’Italia Settentrionale.
Viaggio in Friuli Venezia Giulia