di Giorgio De Zorzi
Il Castello è il simbolo di Udine e uno dei più classici simboli del Friuli. Sorge sul colle posto al centro della città. Vi si accede da piazza Libertà, attraverso l’Arco Bollani, posto a fianco del Porticato di San Giovanni.
Vi ascendono tre diverse vie:
1) la bella scalinata chiamata Giustiniana, dal nome del luogotenente Alvise Giustinian (1570-71) che ne curò la realizzazione e che porta all'ingresso del Castello. Qui, al primo cippo, troviamo l’epigrafe per il Luogotenente Nicolò Mocenigo e dopo altre due epigrafi: per il Luogotenente Pietro Canal e per il restauro che venne fatto alla scalinata. Al secondo cippo epigrafe per il Luogotenente Filippo Nani. Qui si trovavano anche un’epigrafe ed un pino particolari, riferentesi all'Argentina. Il legame tra Udine e gli emigranti argentini fu sempre profondo e non venne mai meno. Dopo alcune donazioni, tra cui il busto di Mazzini, che si trova oggi nei giardini Ricasoli, nel tratto della scala che prosegue sulla sinistra dell’edificio e porta al piazzale, nel 1971 fu scoperta una lapide con epigrafe e venne piantato un virgulto dello storico pino che ricorda un fatto biografico del gen. Josè de San Martin che liberò l’Argentina dalla dominazione spagnola, simbolo della libertà di quel popolo. La pianta in Argentina è oggetto di venerazione e in quel paese tutte le città considerano un grande onore possedere un virgulto da porre nel proprio territorio. Purtroppo il pino dopo cinquant’anni risultava pericolante e nei restauri alla scala del 2021 si è dovuto abbattere, mentre la lapide è stata provvisoriamente posta sotto un cedro presso l’ingresso di piazza I Maggio.
2) Il suggestivo Porticato del Lippomano (1486), dal nome del luogotenente Tommaso Lippomano che ne curò l’esecuzione, il cui stemma è posto all’inizio, sul primo pilastro, e alla fine.
3) La strada carrozzabile, che fiancheggiando il porticato, passa davanti alla chiesa di Santa Maria e conduce all'ampio piazzale sul retro del castello, da dove la vista spazia su tutta la città.
Una stilizzazione di un disegno del castello e del primo nucleo della città di Udine presente in un manoscritto donato da Giandomenico Ciconi ai musei civici.
La Storia
Il Castello rappresenta il nucleo storico attorno a cui si è sviluppata Udine. Come detto nelle schede storiche, il primo documento che lo nomina risale al 983, quando l’imperatore Ottone II dona cinque castelli al Patriarca Rodoaldo, tra cui “Udene”.
Il castello dovrebbe essere stato costruito tra il IX e X secolo, in un epoca che vide un proliferare di costruzioni fortificate dovuto alle carenze del potere centrale che non riusciva fronteggiare le minacce esterne, culminate nelle scorrerie ùngare. Tra l’altro non viene nominato nella lista dei castelli fatta da Paolo di Warnefrido, detto “Diacono”, nella sua famosa Historia Longobardorum.
Tuttavia il colle, essendo naturale ed in una posizione privilegiata nella pianura, costituì sicuramente un posto di osservazione e di difesa, fin dall’età del bronzo. La parte occidentale fu poi abitata in epoca romana. Sorse poi la chiesa di Santa Maria, la più antica pieve di Udine, con annesso cimitero.
Vennero anche costruiti diversi edifici sul colle. Del castello antico non abbiamo documenti o rappresentazioni, se non forse un antico sigillo. Come residenza del Patriarca, era di una certa consistenza e nel XIII secolo si costruì un nuovo palazzo detto poi “Palatium grande” che si affiancava al “vetus”. Le sue mura cingevano probabilmente gran parte del colle.
Il complesso fu fortemente lesionato nel terremoto del 1348 e ci vollero lunghi lavori di restauro. Dal 1483 divenne anche la sede del Parlamento del Friuli. Il tremendo terremoto del 26 marzo 1511 lo distrusse in gran parte. Un incendio il 26 gennaio dell’anno seguente ne sancì la definitiva rovina.
Disegno acquarellato del Castello e del lago - XVI sec. (Bib. Civica di Udine, fondo princ.ms. 523 c. 401).
Distrutto il vecchio castello di Udine, si imponeva la ricostruzione. La prima idea era quella di ricostruire il castello nelle forme dell’edificio precedente, ma poi venne deciso di procedere con un nuovo progetto: l’attuale. Fu incaricato Giovanni Fontana di orgine lombarda ma abitante a Venezia.
Nel 1517, sotto il luogotenente Giacomo Cornaro, il Parlamento deliberò l’inizio dei lavori. Il 16 marzo si cominciarono gli scavi e il 2 aprile si pose la prima pietra. Il Fontana progettò a Venezia l’intero palazzo, come sappiamo da una sua lettera a Giorgio Cornaro, padre del Luogotenente in carica, senza avere visto prima il luogo. Questa lettera, in mancanza dei progetti, ci rivela molti aspetti della costruzione.
Egli stesso lo giudicherà poi appropriato e “nihil melius”. Non usufruì delle fondamenta del precedente castello, che fece ex novo. Molto materiale fu preso dalle macerie esistenti ed in seguito da tutto il Friuli. Il lavoro iniziò con decisione, impiegando anche cinquecento uomini contemporaneamente.
Tanto che nel 1524 il primo piano e l’ammezzato erano già abitabili dal luogotenente. I lavori subirono un rallentamento dovuto alla mancanza di fondi. I documenti ci raccontano che fu comunicato al Fontana, che nel 1520 era rientrato a Venezia per problemi di salute, che non c’erano soldi per onorare completamente il suo lavoro. Forse è questo il principale motivo che portò alla modifica dell'idea inizale, che prevedeva un edificio fatto di quattro lati uguali con corte centrale. Si realizzò infatti un solo lato, l'attuale.
Al lentissimo procedere dei lavori, nel 1547, il luogotenente Giovanni Giustiniani, cercò di imprimere un accelerazione incaricando Giovanni da Udine di dirigere la fabbrica del Castello. Questi cercò di ottemperare al meglio all’incarico, volendo anche ingentilire la costruzione. Fu lui a volere infatti la scala che conduce al salone del parlamento, verso lo spiazzo posteriore.
Particolare di una stampa di Bernardino Gazoldi e Giovanni Battista Cosattini, incisa da Giacomo Ruffoni nel 1661.
Nel 1566 fu terminato anche il salone d’onore. Molti furono gli artisti che prestarono la propria opera per completarlo. Sembra che i lavori furono coordinati da Francesco Floreani. Poi, Gasparo Torreto, lapicida di origine veneziana ma abitante a Gradisca; i cavapietre Francesco de Zani di Faedis e Jacopo Bergamasco; Battista Scandolin di Udine e Andrea Molinaro de Bohemia, autore del soffitto.
Nel 1798, dopo che ai Francesi seguirono gli Austriaci, venne trasformato in caserma. Nel 1819 su ordine dell’imperatore Francesco I venne restaurato e vi furono trasferiti gli uffici del tribunale e della pretura, l’archivo notarile, le carceri criminali e politiche. Dopo i moti del 1848 divenne una fortezza con il nome di Forte San Biagio.
La costruzione e tutto il complesso soffrì la nuova destinazione, rischiando in alcuni casi di compromettere la stabilità strutturale. Cancelli e guardie abbondavano ed era vietato persino transitare troppo nelle vicinanze. La fortezza pareva inespugnabile, ma in realtà a giudizio dello stesso Feldmaresciallo Benedek era... “inutile”. Così da un punto di vista strettamente militare.
Nelle sue carceri vennero però rinchiusi numerosi patrioti italiani, tra i quali Antonio Lavagnolo e Carlo Kechler.
Il Castello dal piazzale del colle.
Il castello attuale
Con l’unione all’Italia vennero smantellate le fortificazioni. Finalmente nel 1899 fu ceduto in uso dallo Stato al Comune di Udine, con l’impegno di riportarlo all’originale forma, cosa che venne subito fatta.
Già nel 1906 poté ospitare le Gallerie d’Arte e il Museo. Funzione che svolge fino ai giorni nostri, con una lunga pausa in seguito al terremoto del 1976.
Sul tetto si trova la Specola (174 m.s.l.), che fino al 1905 servì al Guardafogo o Vardafogo, il quale da lassù vigilava di notte sulla città e dava l’allarme con la campana in caso d’incendio.
Si ridiscende al piano terra dove nel portico nord ci sono resti di case distrutte di Udine. Da notare il portale ogivale del palazzo Gubertini Valentinis, i capitelli gotici della Loggia del Lionello, il portale del distrutto teatro Minerva del ‘700. Nel mezzo una tomba romana proveniente da Mereto di Tomba. Nel 2013 si è completato l’iter che ha portato definitivamente la proprietà al comune di Udine.
Nel complesso del Castello si trovano altri edifici e monumenti interessanti:
Le Prigioni del Castello
Nei tempi passati, come narra Antonio Battistella nel suo scritto sul Castello di Udine, queste consistevano in alcune celle sotterranee, prive di luce diretta, agli angoli nord-ovest e nord-est del Castello.
Il poeta Giulio Lillano, missionario e cancelliere del Capitolo d’Aquileia ne ricorda due: l’una il Forno, “oscura e tetra” dove verso il 1609 per un atto di disubbidienza fu fatto rinchiudere dal suscettibile e subitaneo patriarca Francesco Barbaro; l’altra il Camerone, “più grande e meno orrida” dove pochi giorni dopo fui trasferito...” a proposito delle carceri aggiungerò che R. Williams Egerton il quale visitò Udine nel 1912, scrive nel suo "Plain towns of Italy" - London 1912, che in esse, situate al pianterreno, il governo veneziano murava a vita i suoi avversari politici, i cui gemiti forse giungevano fino alla gran sala affollata di convitati.
Diciamo solo che il suo romanticismo gli prese un poco la mano. Che fossero comunque orribili ce lo testimonia anche un verbale di Convocazione del 14 settembre 1685 in cui sono indicate con l’appellazione generica di Forni e come “sepolture dei viventi”.
La chiesa di Santa Maria del Castello
Salendo per il porticato del Lippomano o per la carrozzabile si giunge, quasi alla sommità, ad un grande Cedro Deodara. Qui si trovava la chiesetta di San Rocco, eretta come voto per la fine del contagio della peste nel 1476 e poi demolita nel 1883. Proseguendo, si trova una chiesa intitolata a Santa Maria.
La chiesa è di antichissima origine. Alcuni reperti testimoniano che qui già nel sec. VI esisteva un sacello cristiano. Sui resti di questo sacello fu probabilmente costruita e venne più volte modificata l’attuale chiesa. Si dice che questa chiesa sorgesse al posto di un tempio del dio Beleno.
Alla fine del '700 venne usata come magazzino. Andrea Picco riferisce che: "sotto l'Austria, quando il tribunale speciale era collocato nel Castello, tenevasi in essa il deposito di lugubri strumenti per l'esecuzione della pena capitale e dell'infamante palco della berlina".
Il campanile di S. Maria visto dal campanile del Duomo.
Il campanile della chiesa di Santa Maria fu iniziato nel 1515 e terminato nel 1540 e si deve al progetto di Gaspare Negro, a cui concorse anche Giovanni da Udine. Nel 1550 Giovanni da Udine disegna la statua dell’Arcangelo Gabriele da porre sulla cima. Viene realizzata in legno di rovere dallo scultore udinese Vincenzo Polame, che acquistò personalmente il grande pezzo di legno e 80 libre di metallo per costruirne la base. Infine, su volere della confraternita che reggeva la chiesa, il legno venne dorato per una spesa di 8 lire e nella mano gli fu posto un giglio in rame.
Nel 1624 un fulmine distrugge la statua in legno che dopo un restauro, nel 1643 verrà ricoperta di piombo. Nel 1776 l’angelo fu nuovamente distrutto da un fulmine. Nell’anno seguente, il settembre del 1777, la statua girevole sarà nuovamente posta sul campanile. Questa volta è in rame dorato, opera dei fratelli Vincenzo e Giovan Battista Vallani di Maniago, da loro istallata per una spesa di 475 ducati. L’Arcangelo Gabriele del Castello di Udine è divenuto oramai l’emblema della città e uno dei principali del Friuli.
La campana maggiore segna, fin dal 1362, salvo brevi interruzioni, "l'ora della notte" per i cittadini alle 22 precise. Alla base del campanile epigrafe a ricordo dei patrioti friulani uccisi. Sul lato posteriore della chiesa si trova un portale che faceva parte della Villa Torriani e che, con una via acciottolata, permette di scendere in piazza I Maggio.
Pochi passi più avanti, sul muraglione epigrafe per i caduti e dispersi friulani in Russia, posta nel 1955. Scendendo per i vialetti, troviamo l’effigie con epigrafe di Ludovico Lazzaro Zamenhof (1857-1917), inventore dell’esperanto.
La torre Malignani sulle pendici del colle.
Altri edifici notevoli
La carrozzabile che da piazza Libertà conduce al piazzale del Castello, termina poi con un arco, eretto dal luogotenente Vincenzo Cappello nel 1522 in onore del doge Antonio Grimani. Era posto all'inizio di via Portanuova, da dove fu smontato e trasportato dove si trova attualmente, come ricorda un epigrafe
Casa della Confraternita - A fianco della chiesa di Santa Maria, subito dopo l’arco si trova la Casa della Confraternita, risalente al secolo XV, che conserva preziosi mobili d’epoca. Segna il principiare del Piazzale del Castello, un’area che consente una bella vista sulla città e sull’anfiteatro delle Prealpi.
Casa della Contadinanza - Sorge nel piazzale del Castello, qui ricomposta nel 1931 con elementi di un edificio di tre piani esistente in Via Rauscedo, all'angolo con via Vittorio Veneto, che ospitava la Camera del Lavoro. Ora ha due piani in altezza con due logge, con sette archi regolari per ognuna, a tutto sesto, sulla facciata è stato applicato un bel affresco trecentesco che proviene da una casa di Piazza Matteotti, tuttavia molto deperito. È così chiamata perché sede della Contadinanza, assemblea sorta nel 1511. Formata dopo le sanguinose sommosse contadine nel famoso giovedì grasso dello stesso anno, aveva lo scopo di tutelare gli interessi dei contadini, sorvegliare sulle imposizioni fiscali e custodire le armi che venivano date in caso di necessità al popolo. Prima del terremoto del 1976 la Casa della Contadinanza era sede dell'Armeria antica, di notevole importanza, raccoglieva armi dal sec. VII al sec. XVII, ora in parte trasferite a Villa Manin di Passariano, e provenienti, per la maggior parte, dalla donazione di Giuliano Mauroner e dalla donazione di Colloredo Mels. Interessanti il salone dei Luogotenenti (primo piano) e il salottino settecentesco già nel palazzo Berretta in via Vittorio Veneto.
Osservatorio Malignani - Oltre il piazzale del Castello, sulle pendici ovest del colle, vicino alla Biblioteca, si erge l'osservatorio meteorologico. La curiosa costruzione fu fatta costruire in stile neo medioevale, agli inizi del XX secolo, tra il 1907 e il 1908 da Arturo Malignani.
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